Stamattina mi sono svegliata con un pensiero strano:
“È ora di rileggere 1984 di Orwell.”
Non è proprio una lettura da colazione con brioche, ma tant’è: certe storie pizzicano meglio di mille editoriali.
Non so se l’hai mai letto, o almeno ne hai sentito parlare.
1984 è un romanzo (e, come dico sempre, mai sottovalutare il potere dei romanzi: arrivano dritti all’inconscio). Per la precisione, è un distopico — un racconto che mostra cosa potrebbe succedere se il mondo prendesse una direzione diversa da quella reale.
Il genere distopico, come la fantascienza, ha un potere enorme: narra scenari inventati che però rappresentano possibilità concrete, se si verificano certi eventi.
Nel caso di 1984, per esempio:
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cosa accadrebbe se vincesse un totalitarismo
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se smettessimo di opporci alle ingiustizie
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se non esistessero più diritti, nemmeno quello di pensare con la propria testa
Tranquilli, è solo un’ipotesi.
Un “e se…” portato all’estremo.
Anche qui il condizionale è fondamentale. Ma proviamo a immaginare:
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se ognuno pensasse solo ciò che gli viene detto di pensare
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se oggi si dovesse credere a una cosa e domani al suo opposto, non perché si è cambiato idea in base a nuove informazioni, ma semplicemente perché così è stato ordinato
Impossibile, vero? Solo fantascienza. Baggianate da ragazzini. Già.
Dopotutto, noi non viviamo in un mondo fatto così… o no?
Lo storytelling è uno strumento potentissimo. Ma — come ogni strumento — tutto dipende da chi lo impugna.
Cosa accade quando lo storytelling diventa una trappola?
Quando chi possiede una grande quantità di informazioni decide deliberatamente di usarne solo una parte, costruendo una narrazione utile a un suo scopo. Qui non parliamo di genuina convinzione, ma di manipolazione consapevole.
Ed ecco che la storia si trasforma. Il bianco diventa nero. E tutto sembra normale.
Certo, nella dialettica umana è normale selezionare gli elementi più efficaci per sostenere la propria tesi. Fa parte dell’arte oratoria (che è meravigliosa). Ma cosa succede quando lo si fa per difendere interessi che si sanno essere sbagliati, o addirittura sono puramente personali?
In 1984 accade anche qualcos’altro di interessante: quando la manipolazione parte dall’alto, viene poi replicata dai sottoposti verso chi sta più in basso. Un livello dopo l’altro.
E qui i confini, tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, si fanno sottili. Perché se ascolti una storia incompleta, senza tutti i fatti, come puoi sapere se è vera? Ti fidi. E magari finisci per diventare tu stesso uno strumento di diffusione.
Wow, vero?
Poi accade qualcosa.
Una sensazione, un malessere, una vibrazione interiore.
Un campanello d’allarme? Chiamiamolo così.
E lì si apre una scelta: ascoltarlo, oppure far finta di niente. Perché ascoltarlo significherebbe opporsi. Ribellarsi a uno status quo. E una voce da sola non vince. Meglio lasciar perdere, no? Meglio farsi trascinare dalla corrente e cercare di non perdere i diritti conquistati con fatica. In fondo, più in basso sei nella catena, meno vieni ascoltato. E poi, magari, è solo un’impressione.
Già.
Ma ci sono sensazioni che fanno troppo rumore per essere ignorate. (E qui, lasciamelo dire: leggi il libro. Ne vale la pena, davvero.)
E allora, che si fa?
Si parte da lì. Dalla propria rivoluzione personale.
Da quel momento in cui ciò che accade non è più in linea con i propri valori — i veri fondamenti di ogni persona. Quelli che dovrebbero guidarci.
Forse è il momento di rispolverarli, quei valori. Di chiederci davvero quali siano. E di orientare di nuovo le nostre azioni in base a essi.
Partendo dalle piccole cose: informarsi di più, cercare i fatti che non sono visibili ma potrebbero diventarlo, ascoltare anche chi racconta un punto di vista diverso, chiedersi se la nostra fiducia è ben riposta, se chi ci guida ha (o usa) davvero tutti gli elementi per raccontarci la storia intera.
Attenzione: magari questo mondo (che ovviamente non esiste, te l’ho detto — è solo un romanzo distopico/fantascientifico) potrebbe persino spingerci a pensare che siano i nostri valori a essere sbagliati.
E a quel punto sarebbe tutto perduto. Perderemmo noi stessi. Diventeremmo gusci vuoti che sopravvivono.
E dov’è, in tutto questo, il nostro contributo al mondo? Dov’è il senso che ognuno di noi cerca?
Ma tranquilli. La distopia come la fantascienza raccontano cose che non esistono. Quindi possiamo continuare a vivere le nostre vite.
Attenzione però: 1984 è solo un romanzo, ma una storia diversa può cominciare anche da te.
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