RISUONA

 

Frastuono di mitragliatrice da videogioco. Battere costante.

Sordo pulsare che le filtrava dalle orecchie. Scia vibrante appiccicata.

Il cuore rimbombava mentre il suono si spostava da un orecchio all’altro.
E non poteva far altro che tenere gli occhi chiusi. Come se in qualche modo la barriera fine delle palpebre impedisse a tutto quel che le era intorno di accadere. Aveva paura ad aprirli. Paura folle di capire e di morire.
Illogico. Stupido.
Ma allora perché una lacrima le colava sul viso?

E non poteva muoversi. Glielo avevano detto.

Con un dito riusciva a sfiorare il bracciale di cuoio che le aveva regalato il suo papà. Avanti e indietro sulle rose impresse a caldo. Ne sentiva i petali, il gambo e, se si isolava completamente da quello sbattere tremendo che le martellava nel cervello, poteva addirittura percepire la presenza delle spine. Puntini microscopici. Era un conforto sentire quel disegno sotto ai polpastrelli. Nella sua mente riusciva a proiettarne l’immagine: rose rosse nel suo giardino, baciate dal sole che splendeva giallo nel cielo.
Il bracciale era l’unica cosa che le era restata addosso se escludeva il tremendo camice azzurro che le avevano fatto mettere. Si era dovuta togliere tutto prima di entrare in quel tubo pauroso.

Ma presto sarebbe tutto finito.

Doveva pensare a questo.

E a suo padre fuori dall’ospedale che la aspettava; l’avrebbe presto riportata dal suo cane. Il suo cucciolo peloso che stava con lei anche quando era malata e per settimane non poteva uscire di casa e andare con le sue amiche in città. Quando l’unica cosa che le restava era guardare la luna dalla finestra della sua cameretta.

Un pensiero felice che annullava il rimbombare e il battere.
Un sorriso quando ancora lo stomaco pulsava di quel vibrare folle che la avvolgeva.

Un sorriso per annullare la paura!

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