TEMPESTA

Era da tempo immemore che non stava così bene.
Impossibile pensarlo anche solo un mese prima. Quando si sentiva una pantera in una gabbia stretta.
Lasciò che il rumore del mare la trasportasse.
Lo sciabordare delle onde sulla scogliera creava un frastuono rombante nelle sue orecchie, lei sorrideva.

Appoggiata la tazza fumante alle labbra, il profumo del tè nero riempiva le sue narici. Soave. Pieno.
Un tempo era una tecnica che usava per ammorbidire le sue sensazioni di solito così bellicose.
Ma non era più così.
Non si interrogava neppure del perché. Semplicemente si godeva quella sensazione così piacevole e pervasiva.
La polvere dei litigi con suo marito era ormai sedimentata sul fondo. Si era depositata leggera e non infastidiva più il suo sentire. La solitudine a cui si era costretta non era più un problema. Gli amici con cui parlare ci sarebbero stati… se solo avesse voluto.
Ma aveva già parlato troppo e non ce n’era più motivo. Non ne aveva bisogno. Lo sapeva.
Aveva risolto.

La finestra bagnata di acqua e viscida di sale la divideva dalla fumosa rabbia che turbinava oltre.
Pace.
I pennarelli erano appoggiati sul tavolo accanto a un mandala quasi finito.
E il telefono squillò d’improvviso. Sapeva chi fosse già prima di vedere sullo schermo.
Non voleva semplicemente rispondere.

Come non aveva considerato il messaggio della sera prima.
“Amore torna! Ti prego” era una frase di consuetudine. Non poteva più essere così.
Ormai l’equilibrio era rotto.
Sarebbe tornata?

Forse.

Ma questa volta alle sue condizioni. E con i suoi tempi.

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