Tredici motivi per…

Tredici (Th1rteen R3asons Why) è un thriller psicologico scritto da Jay Asher nel 2007. È una storia adolescenziale e, letto questo, molti si potrebbero fermare qui, non interessati. Ma a mio parere farebbero un errore.

Personalmente l’ho ‘mangiato’ in due giorni, nonostante avessi visto la serie su Netflix e quindi conoscessi benissimo la storia. Avevo però bisogno di leggere su carta perché dal mio punto di vista comunque il romanzo lascia sempre degli spazi in più su cui pensare, ma soprattutto permette di mantenere il proprio ritmo. La storia è drammatica e rispettare i propri tempi è particolarmente importante non solo per farsi attraversare dalle emozioni, ma anche per lasciarle espandere, sedimentare così da far maturare pensieri e riflessioni. E nel caso di questo libro darsi il tempo anche per lenire le ferite.

Dico così perché Tredici è un libro tosto: parla del suicidio di un’adolescente.

E già di per sé il tema è delicato e toccante. Ma il racconto parte dal fondo, quando il suicidio è già avvenuto. Con la morte della protagonista nel cuore del lettore, l’autore fa attraversare i 13 motivi per cui lo ha fatto. Il tutto raccontato dalla voce della protagonista che ha registrato 13 cassette, una per ogni persona che involontariamente è stata la causa del suo gesto.

E fa riflettere. Tanto. Sicuramente sulla delicatezza del mondo dell’adolescenza, ma non solo.

Perché quel che viene fuori forte dalle pagine è come talvolta anche i piccoli gesti (piccoli dal nostro punto di vista) possono colpire chi abbiamo di fronte perché non conosciamo l’universo del nostro prossimo.

Gesti fatti con egoismo perché troppo focalizzati su di sé oppure con noncuranza non pensando a come possano essere invasivi per l’altro, o semplicemente non potendolo neppure immaginare, perché è impossibile in certi casi prevedere o capire a meno di rischiare l’immobilita.

Ed è qui che viene in aiuto la possibilità di chiedere scusa, di ammettere l’errore quando ce ne si rende conto.

Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre

Siamo talmente indaffarati in quel che stiamo facendo e proiettati verso la realizzazione di obiettivi che spesso ce lo dimentichiamo e non diamo il giusto spazio a chi ci sta di fronte. Un amico, un collega, un conoscente o anche un familiare. Il nostro personale universo ogni giorno si interseca con altri e far sì che questo incontro avvenga con la giusta delicatezza ci permette di essere migliori.

Quello che a me personalmente ha ‘urlato’ questa storia è la necessità di ascoltare il più possibile. In maniera non giudicante. Empatica. Perché è dall’ascolto sincero che può venire fuori molto di più di quello che le parole possono esprimere in prima battuta.

E allora forse dobbiamo dedicare più tempo o modularlo diversamente.

Perché, mettendosi dall’altra parte, sentirsi ascoltati permette di esprimere davvero quel che si prova. E buttare fuori aiuta a diminuire la pressione delle emozioni. Aiuta anche chi parla a comprendere meglio cosa si sta passando.

Aver letto 13 mi ha ancora una volta ricordato ancora una volta l’importanza delle professioni d’aiuto. E la bellezza e responsabilità che c’è nel Counseling.

E proprio come Counselor vedo l’errore più grande fatto dall’ultimo personaggio con cui Hannah si confronta prima di compiere il suo atto estremo: il consiglio, che forse aveva un senso per chi lo dava, ma era sbagliato per chi lo riceveva. Quel consiglio ha chiuso l’ascolto.

Ma ognuno può essere colpito o affascinato in maniera differente. Dipende da come risuona la storia anche rispetto alla fase della vita, alle esperienze, alle ferite o a quel che ci caratterizza come esseri umani.

L’importante è lasciare parlare il libro e fargli muovere le nostre emozioni.

 

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Mara W. Cassardo - Counselor

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